Storie fantastiche di isole vere

17,50

Titolo: Storie fantastiche di isole vere
Autore: Ernesto Franco
Editore: Einaudi

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La vera storia del labirinto di Creta, le statue misteriose dell’Isola di Pasqua, le avventure dei pirati a Tortuga, il sole di mezzanotte nelle Lofoten, le fughe impossibili da Alcatraz: le isole sono mondi gelosi della propria libertà e non rivelano facilmente i segreti che custodiscono. Procuriamoci quindi un libro anfibio come questo, un isolario, per illuminare la rotta giusta, mettendo in scena la verità e l’invenzione presenti in ogni viaggio, luogo e anima umana. Isole contese, abbandonate, conquistate e riconquistate, vendute e amate, incantate e stregate, plasmate dal vento che le abbraccia e le sferza, luoghi dell’origine e dell’utopia, inaccessibili, invisibili, isole che non sono isole, appena affioranti, quasi penisole: da Cipro ad Alcatraz, da Tortuga alle Galápagos, quando parliamo di isole – secondo il narratore di questo libro – parliamo di profezie, messaggi in bottiglia affidati alle acque. Che cosa vogliono comunicarci, le isole, con la loro presunzione di pensarsi come centro del mondo, di credere che tutto giri attorno a loro, come in realtà fanno solo le correnti e i pesci? La cosa più difficile di fronte a un’isola è semplicemente leggerla, capire quale lingua parla e quale inesauribile racconto mormora il mare frangendosi sugli scogli. “Storie fantastiche di isole vere” descrive l’incontro di due personaggi. Il primo è un narratore, il Pilota, un marinaio che ha navigato su ogni rotta ed è sbarcato in ogni porto, e possiede perciò la saggezza dell’esperienza, quella vera, che si deposita lentamente nel corso di una vita. Sorseggiando un bicchiere di vino Pigato o di rum, fumando una delle sue sigarette papier maïs, pescando nella baia a bordo di una lampara o osservando il mare dall’alto della collina, con il suo affabulare ipnotico e avvolgente il Pilota irretisce chi lo ascolta, lo piglia all’amo, lo cattura, iniziandolo all’insulomania, il culto, o malattia, degli ultimi discendenti di Atlantide. Il secondo personaggio si limita per lo più ad accogliere e raccogliere i racconti dell’altro, ma senza chi ascolta non esisterebbe chi narra, senza lettore non ci sarebbe scrittore. Il porto in cui i due si trovano è quello di Genova, dove «quando vedi una nave enorme sfilare piano in fondo alle vie, ti chiedi se sta salpando lei o se sta salpando la città»; il molo su cui passeggiano è «una rampa verso l’ignoto, una macchina della fantasia: se non salpi con una nave, lo fai con il desiderio o con i ricordi». E il testo che compongono insieme è un isolario, ovvero un libro anfibio, per metà vero e per metà fantastico: un inno al mistero e all’inquieta bellezza delle isole, e quindi all’arte del racconto, e all’oceano delle storie

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