Description
«L’evasione di Wodehouse funziona in questo modo: sai già come va a finire la storia, perché non può che finire bene, ma non sai come ci si arriverà, e il bello sta proprio lì, nelle deviazioni, negli scarti, nelle sorprese».
La cugina Angela Travers e l’amico Hildebrand «Tuppy» Glossop hanno rotto il loro fidanzamento, per una questione di squali e di rombi; il vecchio compagno di scuola Augustus «Gussie» Fink-Nottle è troppo timido e solitario, e intento ad allevare tritoni, per dichiararsi a Madeline Bassett. Sono i due principali problemi della vita (ma ce ne sono parecchi altri: da un contenzioso sull’audace modello francese di giacca da sera, a chi deve distribuire i premi di fine anno in una scuola privata) che il protagonista e narratore Bertram «Bertie» Wooster deve affrontare. Tutti i piani che Bertie elabora, con uno zelo che nasce da un combinato di lealtà familiare e pretenziosità snobistica, si risolvono in disastri peggiori, perché i fatti caparbi si ribellano alle buone intenzioni. Provvede l’impareggiabile Jeeves, il suo maggiordomo, inappuntabile e con una reputazione di «cervello», quanto il suo datore di lavoro è invece stimato da tutti uno scioccone, oppure «un asino» o «un Attila», a seconda dei pasticci che crea. E tutto si svolge tra Londra e la tenuta di campagna di zia Dahlia, gran cacciatrice di volpi, che ha il problema di dover confessare al marito la perdita al gioco d’azzardo del denaro da lui investito nella rivista che lei dirige, Il Salottino di Milady.
Accanto al talento di intessere trame fitte di episodi di comicità indimenticabile (quale la premiazione nella scuola di Market Snodsbury, in un’atmosfera «intrisa di un misto di Giovane Inghilterra e manzo bollito con carote») e di personaggi scolpiti al millimetro, Wodehouse era un maestro del dialogo in cui anche le parole, come i fatti, diventano esseri difficili da maneggiare e inclini al fraintendimento. Un umorismo di scene che non sono gag isolate e di dialoghi che non sono semplici sequenze di battute che questa nuova traduzione, evitando sia la pedanteria sia la caricatura, mette in risalto: palcoscenico di classi privilegiate che non vuole essere un preciso luogo sociale, ma più un altrove. Alla buon’ora, Jeeves! è esattamente questo, scrive Beatrice Masini nella sua Introduzione: un romanzo di cui godere «quando non dobbiamo correre da nessuna parte ma vogliamo lo stesso essere altrove».
La cugina Angela Travers e l’amico Hildebrand «Tuppy» Glossop hanno rotto il loro fidanzamento, per una questione di squali e di rombi; il vecchio compagno di scuola Augustus «Gussie» Fink-Nottle è troppo timido e solitario, e intento ad allevare tritoni, per dichiararsi a Madeline Bassett. Sono i due principali problemi della vita (ma ce ne sono parecchi altri: da un contenzioso sull’audace modello francese di giacca da sera, a chi deve distribuire i premi di fine anno in una scuola privata) che il protagonista e narratore Bertram «Bertie» Wooster deve affrontare. Tutti i piani che Bertie elabora, con uno zelo che nasce da un combinato di lealtà familiare e pretenziosità snobistica, si risolvono in disastri peggiori, perché i fatti caparbi si ribellano alle buone intenzioni. Provvede l’impareggiabile Jeeves, il suo maggiordomo, inappuntabile e con una reputazione di «cervello», quanto il suo datore di lavoro è invece stimato da tutti uno scioccone, oppure «un asino» o «un Attila», a seconda dei pasticci che crea. E tutto si svolge tra Londra e la tenuta di campagna di zia Dahlia, gran cacciatrice di volpi, che ha il problema di dover confessare al marito la perdita al gioco d’azzardo del denaro da lui investito nella rivista che lei dirige, Il Salottino di Milady.
Accanto al talento di intessere trame fitte di episodi di comicità indimenticabile (quale la premiazione nella scuola di Market Snodsbury, in un’atmosfera «intrisa di un misto di Giovane Inghilterra e manzo bollito con carote») e di personaggi scolpiti al millimetro, Wodehouse era un maestro del dialogo in cui anche le parole, come i fatti, diventano esseri difficili da maneggiare e inclini al fraintendimento. Un umorismo di scene che non sono gag isolate e di dialoghi che non sono semplici sequenze di battute che questa nuova traduzione, evitando sia la pedanteria sia la caricatura, mette in risalto: palcoscenico di classi privilegiate che non vuole essere un preciso luogo sociale, ma più un altrove. Alla buon’ora, Jeeves! è esattamente questo, scrive Beatrice Masini nella sua Introduzione: un romanzo di cui godere «quando non dobbiamo correre da nessuna parte ma vogliamo lo stesso essere altrove».
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